Tuesday, September 08, 2009

kruptestai philei

I have been writing and thinking
a journey of pure and solid imagination.
Into my head, inside my body, you have been there since I can remember.
I feel just now the unpleasant weight of my will,
a truly defined all oriented wish.
Once for all
all in once
when playing with words is not an escape
but a fierce struggle accordingly.
And I have been thinking and writing
a pitifull waste of power,
not into my hands, not into my arms.

Wednesday, September 02, 2009

Anger

I GUESS THIS IS NOT FAIR

Take it or leave it. Sleep my body. Sleep Tonight.

La più forte delle emozioni può essere ottimisticamente sommersa dai metodi dell’autocontrollo. Dicono. La mano che vuoi allungare, il fluido melmoso di una dichiarazione d’amore. Tutte cose da soffocare con il cuscino. Nemmeno se fossi più stronza ti rifilerei questa roba e alla fin della fiera con nervi, occhi e pensieri si possono fare origami belli e spiegazioni. S’acquietano facilmente pure le voglie del basso ventre. Sono ferma, dormo. Dormirà anche lui.

Questa mattina ti parlo in dieci centimetri, guarda come gongolo, guarda come rido.

E se di amarmi ti viene la voglia,

Guarda come gongolo, guarda come vibro.

Bla, bla, bla, bho,

Improvvisamente frasi disarticolate sono ponte e attraversano tutti e dieci i dieci centimetri.

Lasciami appoggiare la testa qui.

Non sai quel che fai. Ti ricordi come ci amavamo allora ?

Lascia che accarezzi la tua pancia così.


Dallo stesso luogo della mente nascono luminosissimo piacere e denso terrore.

Bastava anche mezzo centimetro di bocca, pochi metri arrotondati di corpo, schiena, braccia, un abbraccio. Non dire mai che ti viene da piangere. Hai visto quel sorriso di bambino dentro il vaso di caramelle ? a occhi chiusi, tiri fuori ancora quella bocca comica che mi fa ridere davvero, ora, ieri, un sacco di tempo fa. Zitta, scema ! tu sei pazza ! Non dire mai quanto ti piace.

Consumo braccia di latte, onde vaganti di piacere, ovviamente senza il coraggio di una voce.

Vieni qui.

Non ho voglia di scassarci di parole.

Io ho bisogno delle tue carezze.


Non ho voglia di foderarmi di infinito a buon mercato e poi ancora scomparire con il mio paracadute.

« A presto ».

Sono sprofondata in un sacrilego impossibile. Già pietrifico. Tutti sanno che ho corteggiato la mia immaginazione per tempi troppo lunghi. Valide dichiarazioni di consapevolezza , diagnosi stereoscopiche e deroghe di responsabilità non sono di protezione alcuna dai suoi danni.

Non ho mai avuto difficoltà ad ammettermi come autonomo artefice di una malattia senti-mentale. Mi son fatta ossessionata, a tal punto da sentirsi pienamente autorizzata. Ho scritto file di fantasmi e ho scritto intorno a buchi neri.

Melò, melò, che di più non si può.

Schiaffo, silenzio, chissà che un giorno non ne guarisca.

Wednesday, July 22, 2009

una discarica di assurdo

In qualunque discarica di assurdo e paradosso tu mi possa portare, io sono sicura che non c’è alcun altro luogo in cui dovrei essere.

Portami nel punto in cui muoio ancora dritta sulle gambe, dove non ci sei e continuano fame, sete ed equilibrio. Portami a tagliarti via, mostruoso gnomo ora inguardabile.

Non proprio un cadavere di sogno abortito, ma un figurino storto di melma cattiva. Voglio non guardarti più.

Fa male ancora per cinque minuti. Il corpo e la mente ti rimpiazzeranno con arazzi tutti nuovi e quella me che era solo per te resta chiusa in un quaderno, in una cicatrice dietro l’orecchio.

Le mie mani non sono più le tue.

La mia fantasia non è mai stata la tua.

A volte l’errore ha la forma di una personalità e quelle stesse volte qualcosa muore pur di sopravvivere.

Monday, May 04, 2009

La sposa curda

Il giorno del mio matrimonio sono venuti con le bombe e i fucili automatici. I canti e i fischi delle donne si sono interrotti un attimo prima dell’esplosione e poi il fracasso della terra, delle mura, dei fiori, i dolci scaraventati per ogni dove. Io, la sposa, ho chiuso gli occhi per non vedere. Sono venuti per ucciderci tutti e sapevano di trovarci tutti insieme, noi, loro, anche gli altri. Il giorno del mio matrimonio sarà anche il giorno in cui sarò morta, a un passo dallo sposo, prima ancora che potesse abituarsi al mio viso e alle mie mani, prima ancora che potessimo dirci ormai sposi. Il vestito ricamato dalle donne, giorno per giorno, segno laborioso della purezza di ogni donna, è finito a brandelli, sparso per ogni dove, insieme alla terra, alle mura, alla carne dei parenti. Io, la sposa, ho stretto i pugni per non sapere.

Ora sono la sposa senza nome, morta senza aver visto e senza aver saputo. Perché il mio è un giorno d'odio e di morte. Il mio è uno strascico di sangue e carne da animale. Non importa se ho pregato, non importa se ho creduto d'amare. Oggi sono venuti con le bombe e i fucili automatici.

Thursday, January 15, 2009

You've got the best of my love

Un altro slancio sull'altalena.

La mia pende dal cielo e si aggrappa a due nuvole.
Sento la tua voce ridere. Conosco i tuoi occhi tristi, il loro posarsi e sorridere per l'avermi trovata qui. Gioisco.

Ulisse lascia la ninfa immortale su un isola perfetta e torna a viaggiare verso le rughe, sempre nuove, di sua moglie. L'amore tra due creature mortali è tanto divino e bello quanto quello tra gli dèi immortali, soltanto più breve.

Un altro slancio sull'altalena.

Ti tengo tra le mie pieghe perchè non puoi farmi alcun male. Ti tengo tra le mie viscere perchè si son confuse con le tue. Guardo te dalla mia altalena e il tuo sguardo è di nuovo nel mio.

Se gli dèi si innamorano degli uomini è per imparare cosa siano l'amore e gli dèi. Della stessa curiosa materia sono fatte le cose che sono anche quando scivolano via.

Un altro slancio sulla mia altalena.

Friday, January 09, 2009

Si tratta di una messa in scena

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Si tratta di una messa in scena. Così hai detto e io non ho alternative che crederti. Non mi costa alcuna fatica crederti. Ho sempre saputo che senza doti attoriali non vi sarebbe nessuno dei gesti di questo mondo e che il libero arbitrio assomiglia da vicino al gesto di un’attore che si sceglie gli abiti di scena. Quel che costa fatica è il tuo riportarmi sempre ai margini del palco, in una prova infinita della scena che siamo supposti recitare. Estenuante la tua rigidità di regista senza copione, che interroga gli attori come fossero scolari. La scena del tuo palco non è nientedimeno che la verità. I tuoi personaggi gli uomini della decisione.

Si tratta dunque di una messa in scena affasciante. Sotto la doccia penso con compassione a cosa ha avvizzito i tuoi organi interni, al mal di testa che ti spacca la testa quasi ne dovesse uscire una terribile figlia. Penso che non conta molto ai fini dello spettacolo se ti amo ancora o se smetterò tra cinque minuti. Quel che conta e che sul palco mi ritrovai senza vestiti a guardarmi le punta dei piedi, e per l’imbarazzo ho creduto alla favola della nudità, la mia nudità è diventata fede. La mia parte è diventata quella della folle religiosa. Lo spettacolo ha avuto un grande successo e niente faceva sospettare che l’ultimo atto sarebbe stato così grigio, così poco interessante, a ramassare vestiti come stracci.

Fa freddo. È arrivato il gelo e solo ora hai deciso di concedermi un’ultima battuta, mi lasci il privilegio del finale. Mi punti il riflettore addosso, dopo avermi lasciato al buio per diverse ore. Non pensavo che ci fosse ancora qualcuno in platea. Credevo fossi rimasta solo io a ricalcare le scene migliori della pièce, l’incontro, il bacio, il riso, ma bruscamente mi illumini e mi sorprendi con ancora in braccio gli stracci sporchi. Sembri maligno lassù, ma io so che non lo sei. Lo so nel ricordo, lo so nella memoria, lo so nella testa. Sei troppo lontano per prenderti tra le braccia, portarti via dal tuo piedistallo di cartone e dirti : « la letteratura è magia, non dimenticarlo mai ».

Monday, December 29, 2008

The Poet's Heart - scene IV (suite)

Eliza: I think he may be dying.
John: You're wrong. Men still bay with longing at the moon.
Eliza: You're lonely, aren't you?
John: Well - alone. But we're all that. And why not?
Eliza: Why don't you forget your pride for a little while?
Jhon (smiling): I mustn't forget that, Princess.
Eliza: Still, you're lonely.
John: lonely at my worst: alone at my best.
Eliza (shaking her head slowly and smiling faintly in her turn) : You want that moon so much.
John: So much that beauty and love and confort and peace and happiness won't ever do instead. So much that - that I think you'd better go. I've nothing for you, Princess. I'll never love you.
Eliza: I know.
John: Nor any other woman. And if I ever do - I won't be worth staying for.
Eliza: Thou shalt not serve God and - anything else.
John: Thou shalt have no other gods but me, for I, thy God, am a jealous god. Run, Princess! Whenever you meet a religious maniac, take to your heels and run! He'll show you no mercy! He'll skin you alive and swallow you at a gulp without pity or gratitude. For once he has felt the icy heat of religious emotion that make a man climb mountains without stopping for breath, without need of applause or encouragement save from his own beating heart, that needs no lover's flattery to warm it and no pale lovelight to illuminate it, there's an enemy to strike terror into a woman's bones! The emotion that excludes her, that makes her an incident instead of a need! Let her run from it like the plague: let her be content with that satisfaction she can get from the irreligious men who cling necessitously to her knees! (A pause.) Unless - unless she be a great princess and prefers pain with the mountaineers to peace with the beachcombers.
(A long silence.)
Eliza: I love you.
John: I'll break your heart, Princess.
Eliza (her eyes wet): I'm giving you my heart to break.
John: Aren't you afraid?
Eliza: A little. Give me your hand.
(He does do. She holds it very tight while she gazes with blurred vision into the coal-flames.)

The Poet's Heart - scene IV

(Eliza puts down the whisky and soda, then goes and stokes the fire. John, lying back in front of it, stares abstractedly up out of the window.)
John (more to himself) : They're so damned pretty when the sky's still pale. They do sparkling without effort, without haste. A million million miles high. A million million years old.
The implacable indifference of infinity: serene and above all impersonal.
The only beauty is impersonal.
All that serenity must have been hung there to make us prickle with shame!
Look at it, Princess.
(Reflecting his mood, she looks and, after a moment, nods, still looking.)
After life's fitful fever, eh? After the petty, anxious stupidities of Brixton Gaol! After the petty cleverness and poor little pomposities of a magistrate's court! After the pitiful myopic self-importance of a pair of lovers with their scrappy little yearnings and fears and demands and manoeuvres! How does it all look a million million miles away? And yet, and yet, Princess, the Lord God isn't there, but here in our tiny breasts. You'd think he could find a more confortable habitation, a house that he wouldn't have to squeeze in and share with self-seeking and fear and love, and be chivied and bullied and elbowed by them. (...) But he's tough, Princess: he can stand a lot of elbowing. He's still there.

B. W. L.